Anche in quest’anno così strano, con tutte le cose che sono successe, è arrivato il momento più importante per noi viticoltori: quello della vendemmia.
Un periodo molto intenso
Per chi come noi lavora le vigne, questo è un periodo molto stressante: ci sono un sacco di cose da fare e fino all’ultimo potrebbe succedere qualcosa che rischia di rovinare il lavoro di tanti mesi.
Però è anche un periodo emozionante, dove letteralmente si raccoglie il frutto del proprio lavoro, si comincia a pensare a come interpretare l’annata per ottenere il vino migliore.
Allo stesso tempo la vendemmia ci ricorda che non siamo padroni di tutto, e che non possiamo avere il controllo su ogni cosa.
La natura ha i suoi ritmi, noi possiamo indirizzarla, cercare di ottenere quello che vogliamo, ma alla fine dobbiamo fare un bagno di umiltà e adeguarci a qualcosa che è al di fuori del nostro controllo.
Un’annata eccellente
Per fortuna questa è stata un’ottima annata, che in parte ci consola di tanti momenti difficili vissuti quest’anno con la pandemia.
È stata ottima sia per qualità che per quantità, con un ottimo grado di maturazione delle uve, favorito anche dal fatto che negli ultimi giorni c’era una buona escursione termica tra il giorno e la notte, fattore che aiuta molto la maturazione dei grappoli.
Adesso la vendemmia è un periodo molto frenetico, ma se penso a quando ero bambino o ragazzo vedo molte differenze, legate alla tecnica, ma soprattutto alla società dell’epoca.
Com’era la vendemmia una volta?
Partiamo da un dato pratico: c’erano meno vigne, e i contadini in genere avevano appezzamenti più piccoli.
Questo, insieme al fatto che erano pochissime le cantine come le intendiamo oggi, faceva si che ci fosse un approccio più semplice, meno aziendale alla raccolta.
Ad esempio ci si aiutava tra cascine, era normale avere i vicini che vendemmiavano nelle tue vigne, poi tu saresti andato ad aiutare loro, con una forma di solidarietà che oggi purtroppo si è persa in favore di una competizione a volte assurda.
Una cosa che mi ricordo molto bene è che durante la vendemmia si cantava! Era normale intonare canzoni insieme agli altri per passare il tempo e sentire meno la fatica.
Quando ero bambino non si usavano ancora le ceste di plastica, ma erano di vimini, quindi si doveva posare il grappolo con attenzione, perché se si fosse schiacciato troppo, il mosto sarebbe uscito dalla cesta.
Infatti quando capitava di dover interrompere la raccolta per la pioggia senza fare in tempo a togliere le ceste, si potevano vedere i rigagnoli di mosto viola scendere per la vigna, uno spettacolo impressionante!
Noi bambini davamo una mano andando in giro con un secchiello e raccogliendo gli acini che inevitabilmente cadevano durante il raccolto; era un compito semplice, ma molto importante: mio nonno diceva infatti che il raccolto era fatto più dagli acini che dalle cassette, nel senso che la somma di tutti quegli acini recuperati contribuiva molto al raccolto.
Vendemmiare con la neve
Sicuramente una volta la vendemmia cominciava più tardi. Non essendoci l’abitudine di diradare, per ottenere un grado zuccherino più alto si aspettava il più possibile.
Ovviamente questo era anche un rischio, perché più si va avanti e più il grappolo diventa delicato e meno resistente alle intemperie.
Ricordo dei grappoli di barbera raccolti quando facevano la goccia, quando cioè erano talmente maturi che la buccia cominciava a rompersi lasciando uscire una goccia di succo.
Il vino che si faceva con quei grappoli era eccezionale!
Per dare un’idea di quanto si raccogliesse tardi, mi ricordo che nel 1961 abbiamo raccolto i Nebbioli il 2 novembre con la neve sui grappoli.
E quando la vendemmia finiva era davvero una festa, ci si ritrovava con tutte le persone che avevano partecipato per festeggiare insieme, era davvero un bel momento di comunità.
Una curiosità: io di vendemmie ne ho viste tante, e vi posso dire che quella di pigiare le uve con i piedi è quasi una leggenda metropolitana! Sarà almeno dai primi anni del ‘900 che non si fa più!